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rid 2018 05 14 mezza galletti con qualche variante

Le salite nel giro di oggi
TempoSalita 
0:1o':07" Galleria di Garbagna da Molo Borbera 1
0:34':07" Montalto Pavese da Casteggio 2
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18/06/2018

  • Distanza 227.58 km
  • Tempo 11:35:49
  • Dislivello 4145 metri

“Passata è la tempesta
Odo ciclisti far festa, che con le bici,
Tornati in su la via, Veloci corrono, tornano a pedalare
Gli indumenti bagnati, addosso ad asciugare. Ecco il sereno”

Vogliate scusare  la parafrasi goliardica sulla famosissima poesia di Giacomo Leopardi ma non ho saputo resistere.

Sono circa quarantacinque minuti,
che sosto qui al Brallo nel bar della piazza, attendendo pazientemente che questo temporale svanisca, improvvisamente, così come si è presentato. Zuppo, infreddolito, scambio parole con gli occasionali avventori, anche loro qui per ripararsi da questo pronipote del Diluvio Universale che, di sorpresa si è riversato sulla zona tra Brallo ed i Piani del Lesima.
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Un cercatore di funghi,
anche lui sorpreso dal maltempo, vuole a tutti i costi farmi indossare una canottiera asciutta. Rifiuto cortesemente, non servirebbe se poi, sopra ci indosso le maglie bagnate.
Ho già strizzato maglia e smanicato, più di una volta ma continua a venir fuori acqua, ogni volta che lo faccio. Per riscaldarmi un poco, al bar, ho consumato due teiere bollenti con limone e tantissimo zucchero. Mi sono quasi ripreso da tutta l’acqua presa negli ultimi quaranta minuti. Mi era già successo di prendere un acquazzone in pianura o al mare ma uno di questa portata ed in altura, mai.

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La pioggia iniziata in sordina
già salendo da Zerba verso i Piani del Lesima, era poi svanita, lasciando posto ad un timido sole che è comparso laggiù, vicino all’albergo dei Piani, dove ho sostato per riscaldarmi e mangiare qualcosa velocemente. Poi ho ripreso la discesa verso Brallo. Ancora una sosta alla fontana poco più sotto e due tuoni, senza fulmine, danno il via al delirio della pioggia, al trionfo del cattivo tempo, dove cattivo è anche infame, criminale, malvagio. Solamente sei chilometri ma interminabili. Dove non è possibile fermarsi al riparo. Non ci sono case, l’unica cascina trovata ha il cortile allagato e sarei comunque a quattro venti. Scendo, maledicendo la dimenticanza voluta, del giubbino antipioggia. Anche se sarebbe servito a poco.
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Scendo
cercando di evitare i piccoli ruscelli che si formano sulla strada e scendono in linea retta, tagliando le curve e vanno a valle, non trovando varco sulle sponde del fosso, quasi sparito dai lati della strada. Scendo, non sento ancora freddo, che presto arriva, facendo tremare le braccia e sbandare la bicicletta. Scendo questi lunghissimi sei chilometri  e finalmente, ecco Brallo.

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Ci ero passato circa un paio d’ore fa,
con il sole, salendo da Casanova di Destra, scollinando il passo e dopo aver fatta scorta d’acqua, ero disceso a Ponte Organasco e poi, Traschio e Zerba, dove la pioggia è iniziata.
Parlo con i pochi avventori, in particolare, quattro ragazzi che lavorano per un’impresa di scavi dell’Enel. Hanno sospeso il lavoro nel bosco perché il camion e l’escavatore non riuscivano più a muoversi per il troppo fango.
Fango, si fango a rivoli che ho incontrato arrivando a Brallo. Scendeva giù dritto per la strada che sale a Cima Colletta, quella che avrei dovuto fare io subito, senza scendere a Brallo se non avesse piovuto in una maniera così dirompente.
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Due, i giri stabiliti sulla carta per oggi:
Una caccia alle panchine giganti in Langa, scartata per il troppo caldo e questo che doveva vedermi salire sui Piani e Del Lesima e poi dopo Cima Colletta anche su per la vetta del Lesima, lassù a 1700 metri dove c’è il radiofaro militare.
I ragazzi dell’impresa mi sconsigliano di salire Cima Colletta. È vero che salendo, non prederei freddo ma se poi si mette a piovere come a Brallo, sarebbe una sciagura. Do retta a loro e scendo verso Varzi, dove dicono ci sia il sole. Abbandono il giro, un po’ a malincuore ma non voglio rischiare di prendermi altra acqua.
Scendo, verso Varzi e le braccia tremano, la bici sbanda. Cerco di rilassarmi, di non fare tremare le braccia ma è un riflesso incondizionato, non ci posso fare nulla.

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Scendo tirando i freni,
che ora tengono e rallentano la bici, non come prima scendendo dai Piani, dove i rivoli d’acqua, piccoli ruscelli, impedivano la presa dei pattini sui cerchi. Ho rimpianto di non aver messo i freni a disco sulla Sleek.
Scendo verso Varzi e al bivio per Casone, ecco il sole, come promesso dai ragazzi dell’Enel. Si a Casone c’è il sole ma sotto di me ed a sinistra non ne vedo. Al posto del sole solo nuvoloni neri e portatori di pioggia.
Sono stufo di tremare. Svolto a destra, vado a Casone a scaldarmi un poco.
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Salita dolce,
presa dolcemente, sono infreddolito e pian piano mi scaldo e arrivo al piccolo borgo e proseguo fino al bivio per il Penice. A sinistra in direzione del Passo del Penice è grigio a destra verso Brallo, vedo il sereno. Decido, recupero il giro, scendo a Brallo e riprendo da dove mi ero fermato.

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Ripasso davanti al bar,
i ragazzi dell’Enel non ci sono più e nemmeno il cercatore di funghi, Dirigo su cima Colletta, con il sole che va e viene. Salendo mi scaldo, gli indumenti si asciugano, è lunga la Colletta ed a tratti dura. Salgo e termina, quasi senza che io me ne renda conto. Ed ecco il bivio per il Radiofaro, lassù a 1700 metri, sulla vetta del monte più alto che io abbia a tiro di ruota. Mangio e salto la sbarra, perennemente chiusa.
Tento di partire una prima volta, d’impeto, una pedalata e via a cercare di infilare l’altro piede nel pedale. Non ci riesco. Quasi cado.
Un secondo tentativo, più impetuoso del primo e la ruota posteriore slitta e mi devo ancora fermare. Riprovo, con la mezza pedalata. Alzo il piede sinistro e abbasso il pedale di un quarto di giro, mentre il piede destro appoggia ritmicamente a terra. Quattro, cinque pedalate e finalmente la bici regge l’equilibrio e posso agganciare anche l’altro piede.
Ora è solo questione di forza. Forza delle gambe e quella di volontà, che non ti lascia mettere il piede a terra, quando tu lo desideri con tutto il cuore e l’anima.
Salgo sulla prima rampa, che dovrebbe essere la più dura. Poi, c’è un rifiato e subito dopo ancora una rampa, un po’ più morbida della precedente.

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A complicare la salita, tre cose:
L’asfalto bagnato e zeppo di pietrisco.
Una canalizzazione interrata al centro della strada che si è sfaldata in diversi punti, creando un piccolo solco difficile da attraversare con la bici.
Lo sterco delle vacche, (bise in dialetto piemontese) che sono praticamente dappertutto e se ci metti sopra una ruota, questa oltre a raccogliere parte del prodotto, slitta e si rischia di mettere giù il piede.
Quindi evitare le ultime due e sperare di non scivolare per la prima.
Salgo ed a parte il primo tratto, veramente duro, non faccio fatica. Ho un 36x30 e mi trovo a mio agio

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Penso alla mia prima volta,
sulla vetta del Lesima. Non ne avevo mai sentito parlare ma cercando sulle carte geografiche, qualcosa che superasse i 1500 metri, lo avevo trovato e con la Carrera ed un 39x23, ero partito per farlo. Parlo di tanti anni fa e le gambe erano più giovani e con quel rapporto andavo dappertutto. La sbarra era aperta, allora ed ho pianto, quel giorno, salendo in vetta, promettendo a me stesso che la volta successiva, sarei salito con rapporti un po’ più docili. Seguirono altre volte, tante. 39x26, 34x 26 e l’ultima, lo scorso anno, con partenza a sbarra chiusa e la Colago EPS col 39x26 e solito giuramento di non farlo mai più. Oggi è stata dura ma non come le altre volte, sapendo che sono salito con una certa fatica ma dopo aver fatto 150 chilometri e quasi 4000 metri dislivello.
Salgo e l’ultima rampa mi toglie il fiato, salgo a zigzag per allentare la presa dell’asfalto sulle ruote e finalmente viro a sinistra e appoggio la bici al cancello blu del Radiofaro. Respiro, prendo fiato a tutto polmone, anche questa volta il Lesima ha perduto.

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Scendo un po’ preoccupato
per l’ammasso nuvoloso che si vede su alle Capanne di Cosola.
Scendo e mi fermo dove le vacche, uscite dal recinto, hanno invaso la strada, faccio qualche foto.
Scendo cercando di pestare meno bise possibile.
Scendo fino al tratto più difficile, dove si deve stare attenti a non schiantarsi contro alla sbarra chiusa.
Appoggio la bici e la prendo dal lato opposto della sbarra. Ora è finita, il giro è completo. Tutte le facce del Lesima. La salita da Zerba, la discesa alluvionata dai Piani e la stupenda e terribile salita al Radiofaro. Giro recuperato. Posso tornarmene a casa soddisfatto. SEMPREINSELLA!